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News - 15/10/2020

Disturbi motori da antipsicotici, una molecola potrebbe renderli più tollerabili

Identificati nuovi meccanismi molecolari alla base dei parkinsonismi indotti dall’aloperidolo nel trattamento della schizofrenia

La scoperta in vivo apre la strada a futuri studi clinici per il trattamento con la rapamicina 

Sono i risultati di una collaborazione italo-americana tra lo Scripps Research Institute, il CEINGE-Biotecnologie Avanzate di Napoli e l’Università degli Studi della Campania “Vanvitelli”

L’importanza della scoperta, spiegata da Andrea De Bartolomeis, uno dei massimi esperti di farmacoresistenza in Psichiatria, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Psichiatria e Psicologia del Policlinico Universitario Federico II di Napoli, che collabora con il Laboratorio di Neuroscienze Traslazionali del CEINGE

Gli antipsicotici di prima generazione (tra i più usati l’aloperidolo) hanno rappresentano la pietra miliare del trattamento farmacologico delle psicosi. Per comprendere la rilevanza di questi farmaci basti pensare che la schizofrenia ha una prevalenza considerata significativamente elevata, pari ad 1 soggetto colpito ogni 100 individui. Inoltre, si tratta di farmaci estremamente efficaci su sintomi come le allucinazioni e i deliri e, per potenza, sono paragonabili a farmaci come gli anti-infiammatori. Gli antipsicotici di prima e seconda generazione (tra i più diffusi la clozapine) pur con proprietà farmacologiche e strutturali diverse condividono tutti la comune caratteristica di occupare (bloccare) il recettore D2 del neurotrasmettitore dopamina, il cui rilascio è ritenuto alterato nelle regioni cerebrali implicate nella fisiopatologia delle psicosi come, i gangli della base e la corteccia prefrontale.

Sono tuttavia farmaci che, in alcuni casi, possono essere responsabili dell’insorgenza di severi disturbi del movimento acuti e cronici, con ripercussioni non solo sul benessere dei pazienti, ma anche sul proseguimento della terapia contribuendo, con variazioni continue del tipo di farmaco, anche alla comparsa di ridotta o mancata risposta al trattamento (resistenza farmacologica).

Fra gli eventi avversi di tipo motorio acuti più frequenti e invalidanti associati al trattamento con aloperidolo sono da ricordare i parkinsonismi con comparsa di tremori, rigidità e rallentamento dei movimenti specie agli arti, le distonie. La prevalenza dei disturbi motori è di circa 1.7-2.7% e quantunque più frequenti con i farmaci di prima generazione (antipsicotici tipici) sono tuttavia possibili anche, talora, con quelli di seconda generazione.

Alla luce di queste considerazioni cliniche e in relazione al fatto che non esistono ad oggi trattamenti farmacologici capaci di prevenire i disturbi motori (che includono anche le discinesie tardive) indotti dagli antipsicotici tipici, è di particolare interesse una recentissima scoperta ottenuta da una collaborazione italo-americana condotta dal team di scienziati guidati dal dott. Srinivasa Subramanian (Uri Nimrod Ramírez-Jarquín, Neelam Shahani e William Pryor) dello Scripps Research Intitute, Jupiter, Florida (USA) e da Alessandro Usiello, professore ordinario di Biochimica e Biologia Molecolare Clinica dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” e Principal Investigator del Laboratorio di Neuroscienze Traslazionali del CEINGE-Biotecnologie avanzate di Napoli.

Lo studio, appena pubblicato sulla rivista Translational Psychiatry (della collana Nature Publishing Group), illumina sui meccanismi molecolari sottesi alla segnalazione neuronale che avviene in una regione del cervello nota come corpo striato e che rappresenta indiscutibilmente la regione principale dove si originano i sintomi extrapiramidali indotti dagli antipsicotici tipici. In particolare, la ricerca, attraverso un approccio combinato di biologia molecolare, comportamento e neurofarmacologia, dimostra come un complesso proteico chiave coinvolto nella comunicazione cellulare, chiamato mTOR, a seguito del trattamento con aloperidolo, determina negli animali una iperattivazione disfunzionale striatale di questa proteina. Inoltre, lo studio dalla possibile valenza traslazionale nella clinica psichiatrica, dimostra che un farmaco diffusamente utilizzato contro il rigetto degli organi trapiantati, noto come rapamicina o sirolimus, attraverso la sua proprietà farmacologica di inibire l’attivazione del complesso mTOR era capace di prevenire negli animali in modo robusto gli effetti extra piramidali indotti dall’ aloperidolo.

Queste osservazioni precliniche, insieme a quelle nell’ uomo pubblicate nel 2019 su Science Advances dal gruppo di Sabine Bahn dell’Università di Cambridge*, suggeriscono un possibile ruolo della rapamicina nella fisiopatologia delle psicosi e nel trattamento dei disturbi motori correlati alle attuali terapie antipsicotiche.

* (https://advances.sciencemag.org/content/5/5/eaau9093)

 

A.B.